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E’ risaputo che molte imprese dirigono le loro attività in Cina per la convenienza che ritrovano nell’operare in questo paese che, con un PIL dell’8% (quasi quanto quello dell’UE e degli USA insieme) un mercato dei consumi in crescita esponenziale e i suoi 700 milioni di lavoratori, ha di recente fatto ingresso nel WTO. Milioni di nuovi consumatori affascinati da tutto ciò che è occidentale, produzione a basso costo (con quale tutela per la manodopera?) e soprattutto agevolazioni fiscali per le attività estere, specialmente laddove portino know-how, ricerca, macchinari. Così risponde la Cina agli imprenditori occidentali, concedendo incentivi su incentivi per creare posti di lavoro, ricchezza e ammodernamento. Alcuni esempi:nelle città costiere, di frontiera, provinciali interne e nelle località turistiche si ha una riduzione del 20% sull’imposizione ordinaria, mentre nelle zone Shenzhen,Shantou,Zhuhai,Xiemen nell’isola di Hainan ben il 50%. Ci sono anche “premi fedeltà” per le imprese che tenderanno a stabilizzare la loro produzione nel tempo: per le FIE (Foreign Investment Enterprises) che intendono operare per almeno 10 anni i primi due anni sono esenti e i successivi 3 godono di una riduzione del 50%. E se gli utili sono reinvestiti in Cina? Se l’investitore reinveste gli utili conseguiti: - nella propria impresa ovvero - in un’altra FIE che opera in Cina per almeno 5 anni può ottenere il rimborso delle imposte corrisposte sui profitti reinvestiti nella misura del: - 40% ovvero - 100% qualora i profitti siano reinvestiti in imprese ad elevata intensità tecnologica e che operano in Cina per almeno cinque anni. Come ovvio ci sono delle valutazioni politico economiche da tenere presente. La Cina ha un territorio enorme gestito ancora con un governo centralizzato. Per es le zone interne rispetto quelle costiere sono meno moderne, meno controllate e quindi la corruzione dei funzionari ha mani più lunge, anche nel settore del credito. A sua volta, anche se il risparmio è in aumento, molti osservatori sollevano dubbi sulla capacità del sistema creditizio di far fronte a investimenti di ingenti entità. Ad agosto di quest’anno si è poi presentato il problema del calo energetico, con un black out che ha costretto le industrie a lavorare di notte. Se è pur vero che i diritti dei lavoratori stanno a zero, non si può pensare di risolvere il problema energetico lavorando di notte, quindi serve la creazione di infrastrutture adeguate che sono ancora infieri e comunque a lungo termine, come per esempio il progetto della diga lungo lo Yang Tze, che dovrebbe creare un bacino idrico grande quanto la Pianura Padana. Le risorse idroelettriche sono sicuramente il futuro per questo paese in cui l’acqua non manca ed invece il petrolio scarseggia. Se ci si vuole indirizzare fuori dalle tradizionali aree di accentramento industriale, è da mettere in conto la difficoltà negli approvvigionamenti per carenze infrastrutturali che comunque richiederanno finanziamenti delle stesse società interessate. In alcuni settori poi (es. trasporti e comunicazioni) l’offerta sta già superando la domanda interna (il forte sviluppo del Paese non si traduce automaticamente nell’arrichimento della popolazione da una parte perché l’individuo è secondario allo Stato dall’altra perché le classi dirigenti del partito godono di privilegi ben protetti sia dal vecchio Jiang Zemin oggi capo del consiglio militare che dall’attuale presidente progresista Hu Jintao). Inoltre l’adesione al Wto dovrebbe porre un freno alla produzione industriale senza scrupoli per l’ambiente ed i lavoratori che sicuramente ha contribuito in grande parte alla nota convenienza della produzione cinese ( ma forse questo è l’ultimo dei problemi). Sarà comunque interessante scoprire se l’iniezione di capitalismo che si sta infilando nella stuttura gerarchiaca e accentratrice della Repubblica Popolare Cinese, comporterà il capolvigimento del sistema statalista.
A cura della Dott.ssa Mariacristina Petrolo
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